La tecnica di emorroidectomia (asportazione di emorroidi) più tradizionale e che attualmente è ancora la più usata è stata messa a punto molti anni fa da Milligan e Morgan e si è andata perfezionando con l’uso di nuove sorgenti di energia (bisturi ad ultrasuoni, radiofrequenza) che permettono di raggiungere ottimi risultati che si mantengono nel tempo riducendo al minimo i temuti disturbi postoperatori (dolore, emorragia, stenosi).
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Negli ultimi anni è stata messa a punto una nuova metodica, l’emorroidopessia con stapler, nel tentativo di ridurre i disturbi postoperatori e di sveltire il periodo di convalescenza. La tecnica permette il riposizionamento delle emorroidi nel canale anale con la rimozione di un cercine di tessuto intrarettale. Molte controversie sono nate riguardo alle possibili sequele permanenti dell’intervento e soprattutto alla dimostrata maggior percentuale di recidiva della malattia a distanza di qualche anno dall’esecuzione dell’intervento. La metodica di dearterializzazione emorroidaria transanale doppler-guidata detta THD, presentata molto recentemente, sembra rappresentare un metodo chirurgico miniinvasivo molto efficace. Essa consiste nella legatura selettiva dei rami dell’arteria emorroidaria superiore, causa dell’iperafflusso arterioso e quindi della congestione e del sanguinamento dei cuscinetti emorroidari, che vengono rilevati con il doppler e legati in alto nel canale anale. Se è presente prolasso muco-emorroidario, come normalmente si riscontra nel III e IV grado della malattia emorroidaria, utilizzando gli stessi punti della dearterializzazione si procede alla plicatura del prolasso che viene riposizionato nel canale anale. Il trattamento della malattia emorroidaria, qualunque metodica venga applicata, deve essere eseguito da un coloproctologo esperto, che possa scegliere per ogni paziente e per ogni grado di patologia l’intervento più adatto e sia in grado di poter gestire qualsiasi eventuale complicanza postoperatoria.

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